Giovedì scorso, sfogliando il Corriere della Sera, mi sono imbattuto in un articolo riguardante la censura nel Web. L'ho trovato molto interessante e ho deciso di riproporlo per chi se lo fosse perso. L'obbiettivo è cercare di inquadrare meglio il problema dando un'occhiata a ciò che avviene all'estero. (Ringrazio il nostro Gionuein per l'ennesimo capolavoro fotografico).
di Massimo Gaggi
Corriere della Sera. (New York) A chi l'accusa di fornire da anni alla dittatura birmana programmi e tecnologia per sottoporre a censura informazioni e opinioni che circolano via computer, Fortnet, un'azienda di Sunnyvale, nella Silicon Valley, risponde che non vende i suoi prodotti direttamente, ma attraverso società intermediarie. Non sa quindi molto dei clienti finali, anche se ritiene che siano essenzialmente aziende private che acquistano «filtri» da utilizzare, ad esempio, per impedire al loro personale di accedere a siti porno. Fortnet, però, non sa cosa replicare quando gli investigatori di Open Net Initiative, osservatorio creato dalle università di Harvard, Oxford, Cambridge e Toronto per monitorare lo «stato di salute» di Internet, obiettano che tempo fa il capo delle vendite della società è stato ripreso dalla tv birmana mentre incontrava il capo del governo del Paese asiatico. «No comment » anche da altre società californiane come Websense e Blue Coat System, la cui tecnologia è usata per censurare la rete in Paesi mediorientali come Yemen ed Emirati. Blue Coat, invece, ammette tranquillamente di lavorare per il governo dell'Arabia Saudita; anzi, sembra orgogliosa di assistere un alleato degli Usa, anche se il governo di Riad non è esattamente una democrazia. Per tenere sotto controllo il web, Singapore, altra dittatura che ha forti legami con l'Occidente, si affida invece a SurfControl, società a capitale britannico ma basata in California. Quanto all'Iran, non è chiaro quale tecnologia usi oggi: in passato ha sicuramente basato le sue censure sul sistema SmartFilter di SecureComputing, ma la società americana sostiene che Teheran l'ha usato illegalmente e non dispone degli ultimi aggiornamenti del programma.
La rivoluzione digitale di Internet ha aperto nuove frontiere di libertà nella circolazione delle informazioni ma, com'era forse inevitabile, ha anche spinto molti governi autoritari a cercare di neutralizzare gli aspetti democratici della rivoluzione digitale. Chi pensava che imbrigliare uno strumento universale come la rete equivalesse a tentare di svuotare il mare con un secchio, chi era convinto che il regime comunista cinese non sarebbe sopravvissuto all'avvento della comunicazione a banda larga, sta rivedendo i suoi giudizi: a Pechino il Pcc rimane al potere, mentre Internet è soggetto a una severissima sorveglianza. E i giganti americani di Internet — Microsoft, Google, Yahoo! e Cisco Systems — sono stati ribattezzati dagli internauti «la banda dei quattro» per la collaborazione offerta alle autorità di Pechino nei loro interventi repressivi, nel tentativo di non perdere il ricco mercato cinese.
Quello della Cina è il caso più macroscopico e discusso, ma la censura su Internet si sta sviluppando a macchia d'olio in mezzo mondo. Secondo Open Net Iniziative (Oni), alcune repubbliche dell'ex Urss — soprattutto Bielorussia, Tagikistan e Kirghizistan — hanno ripetutamente smantellato interi siti web o bloccato quelli controllati da forze di opposizione nei periodi che precedono le consultazioni elettorali. L'elenco degli altri Paesi che cercano in un modo o nell'altro di mettere la «museruola» a Internet è lungo e comprende, oltre a quelli già citati, Egitto, Cuba, Corea, Siria, Tunisia e Vietnam. Apparentemente, invece, Russia, Malesia, Israele e Venezuela non hanno programmi governativi di intervento nella rete.
Quanto all'Europa, secondo l'organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione, ben 24 Paesi su 56 intervengono in qualche modo per limitare l'attività di Internet. Ma quali sono le tecniche d'intervento più comuni? C'è chi scatena attacchi di hacker contro i siti che danno più fastidio e chi, come la Cina, gioca d'anticipo e impone a chi vuole operare nel suo Paese di esercitare un'autocensura preventiva sui contenuti. L'Iran, oltre a censurare, ha bloccato i sistemi di comunicazione a banda larga in modo da limitare l'afflusso e la velocità di circolazione di testi e video. La misura più drastica l'ha adottata la giunta militare birmana che nei giorni della protesta ispirata dai monaci buddisti è arrivata addirittura a disattivare l'intera rete.
Misure estreme che fanno notizia. Si parla meno dell'ordinaria censura, quella di routine, in genere attivata utilizzando programmi e tecnologie sviluppate da società americane di quella stessa Silicon Valley che ha regalato al mondo la libertà della comunicazione universale «a portata di clic ». Gli studi fin qui condotti escludono i Paesi democratici dell'Occidente: si dà per scontato che qui i controlli, quando ci sono, servano a combattere il terrorismo o la pornografia, non a censurare la libertà di espressione. In realtà anche in Europa non tutto è scontato, come nel caso della Germania che blocca siti e messaggi filonazisti.
Al Congresso di Washington è stato appena presentato il Global Online Freedom Act, un progetto di legge che punta a evitare che l'America continui a esportare software destinato a un uso politico repressivo. Non esistono soluzioni semplici sul piano tecnico (il software usato dai governi è abbastanza simile a quello sviluppato per combattere intrusioni nelle reti aziendali e anche nelle utenze domestiche), ma anche su quello politico il quadro non è del tutto nitido. Tanto più che nemmeno il Congresso si può considerare davvero indenne da tentazioni censorie. Prendiamo il caso Wikipedia: la recente indagine dalla quale è emerso che moltissime voci dell'enciclopedia «spontanea» sono state alterate dall'intervento di entità come la Cia, il partito repubblicano, la chiesa cattolica e quella anglicana, è stata avviata da alcuni neolaureati del California Institute of Technology dopo aver scoperto che numerosi parlamentari Usa avevano ripulito le loro scheda che compare su Wikipedia.
Il commento. Il titolo del post è chiaramente iperbolico. E' eccessivo paragonare il metodo censorio del blog di clEMENTE all'accanita sorveglianza della rete operata dalla dittatura cinese. Eppure nel suo piccolo qualche analogia esiste. Si da il caso, infatti, che clEMENTE oltre a filtrare i commenti stia tentando di oscurare un blog scomodo. Come abbiamo letto sopra, queste cose non dovrebbero succedere, a maggior ragione in Europa.
Non essendoci delle norme rigorose in materia, come facciamo a stabilire in quali casi la censura sia legittima oppure no? Chi ci dice che clEMENTE cestini solamente i commenti volgari e non stia invece violando il diritto fondamentale della libertà di espressione? Su quali basi vorrebbe oscurare un sito avverso che esprime un'opinione diversa dalla sua?
Il tema è complesso. Risposte certe non le avremo a breve. L'unica cosa che possiamo fare è stare in guardia.
Le dittature mascherate sono quelle più pericolose!
P.S. Per dovere di cronaca citiamo anche il caso cubano: i blogger sono costretti a fingersi turisti stranieri per evitare così la censura del regime castrista. Consigliamo a tutti i blogger anti-mastella di chiedere la doppia cittadinanza.
P.S.S. Prendiamo atto della rischiesta di otto anni di carcere nei confronti di Salvatore Cuffaro, un vecchio sodale di clEMENTE ai tempi del matrimonio del pentito Campanella. La maledizione di Mastella continua. Dove passa lui non cresce più l'erba.
mastella indagato ?
evviva !!
vuoi vedere che si spedisce una busta con due proiettili (a salve) per dimostrare che anche lui è in pericolo ? ed attrarre l'attenzione dei suoi degni compagni di MERenDA che non se lo cagano più ?
20/10/07 0.34